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NORMATIVA
Normativa nazionale - Determinazioni - Contratti - Lavori - Forniture - Servizi

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Determinazione Autorità per la vigilanza sui contratti di lavori servizi e forniture 02 aprile 2008 n 4
Realizzazione di opere pubbliche da parte di privati nell'ambito di accordi convenzionali stipulati con le amministrazioni (G.U. n. 89 del 15.04.2008).
 

Il Consiglio dell'Autorità per la Vigilanza sui contratti di lavori, servizi e forniture


Considerato in fatto
Sono state sottoposte all'attenzione dell'Autorità alcune richieste di parere relative alle
procedure da seguire per la realizzazione di opere pubbliche nell'ambito di accordi convenzionali stipulati con amministrazioni pubbliche, in particolare nell'ambito della disciplina dei piani di riqualificazione urbana (legge 4 dicembre 1993, n. 493) e dei piani integrati di intervento (legge 17 febbraio 1992, n. 179).
Stante il rilievo della questione ed il coinvolgimento di numerosi interessi di settore, é stata convocata un'audizione, alla quale hanno partecipato i rappresentanti del Ministero delle infrastrutture, dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), dell'Associazione nazionale comuni d'Italia (ANCI) e della Associazione Nazionale cooperative di produzione e lavoro (ANCPL).Sono peraltro pervenuti apporti documentali anche da parte dell'Associazione imprese generali (AGI), e dell'Associazione costruttori edili di Roma e provincia (ACER).

Considerato in diritto
1. In via preliminare, occorre rilevare che gli accordi convenzionali citati rientrano nel più ampio genus dei cosiddetti «programmi complessi», che a partire dagli anni '90 sono stati introdotti nel sistema nazionale di governo del territorio, trasferendo sul piano negoziale sia i rapporti tra i soggetti pubblici coinvolti, sia quelli tra gli stessi soggetti pubblici e i soggetti privati
interessati, attribuendo a questi ultimi un ruolo attivo nella politica di trasformazione
territoriale. Detti programmi si caratterizzano, quindi, per rappresentare un complesso sistematico di interventi pubblici e privati accompagnato anche da un completamento delle opere di urbanizzazione, al fine di valorizzare qualitativamente l'ambito territoriale oggetto di intervento.
L'accordo sulla base del quale si dà attuazione al programma si fonda, sostanzialmente, su uno «scambio di prestazioni»: a fronte del riconoscimento al soggetto privato di diritti edificatori, vengono cedute dallo stesso privato aree e/o realizzate opere di adeguamento infrastrutturale e di trasformazione del territorio. Si tratta di ipotesi in cui, a compenso di benefici conseguiti dai privati (come ad esempio quelli derivanti da modificazioni di destinazione urbanistica di aree), questi si impegnano a realizzare, quale controprestazione in favore dell'amministrazione, opere di pubblico interesse.
Questi accordi trovano la loro espressione formale, in particolare, nelle convenzioni urbanistiche,
il cui archetipo é la convenzione di lottizzazione prevista dall'art. 28 della legge n. 1150/1942 e si iscrivono a pieno titolo nell'alveo dell'amministrazione negoziata, ove l'esercizio del potere viene canalizzato nelle forme dell'accordo con i potenziali destinatari dei suoi effetti.
2. Ciò premesso, occorre ora chiedersi se le opere che il privato si impegna a realizzare mediante le convenzioni citate siano da ritenersi assoggettate alla disciplina comunitaria e nazionale vigente in materia.
A tal fine sembra opportuno, in primo luogo, richiamare la sentenza della Corte di giustizia europea del 12 luglio 2001 (causa C399-98), in materia di esecuzione di opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione oggetto delle convenzioni di lottizzazione, così come disciplinata dalla normativa italiana di riferimento all'epoca vigente (decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380; legge 29 settembre 1964, n. 867; legge 17 agosto 1942, n. 1150).
Ebbene, il giudice europeo, con la sentenza citata, ha affermato che la realizzazione delle opere di urbanizzazione di cui trattasi é da ricondurre al genus «appalto pubblico di lavori», stante il ricorrere dei seguenti elementi:
la qualità di amministrazione aggiudicatrice degli enti procedenti (enti pubblici territoriali);
la riconducibilità delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria alla categoria delle opere pubbliche in senso stretto, stante la loro idoneità funzionale a soddisfare le esigenze della collettività ed il pieno controllo dell'amministrazione competente sulla realizzazione delle opere medesime, a nulla rilevando che l'opera sia inizialmente privata, in quanto le opere di urbanizzazione hanno per propria natura una intrinseca finalità pubblica;
la natura contrattuale del rapporto fra l'amministrazione e il privato lottizzante, posto che la convenzione di lottizzazione, sottoscritta dalle parti, stabilisce diritti ed obblighi delle parti, ivi compresa l'esatta individuazione delle opere di urbanizzazione che il privato é tenuto a realizzare, nonché le relative condizioni di esecuzione;
la natura onerosa di tale contratto, considerando che l'amministrazione comunale, accettando la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione, rinuncia a pretendere il pagamento dell'importo dovuto a titolo di contributo, ai sensi dell'art. 3 della legge n. 10/1977, e che, pertanto, il titolare della concessione edilizia o del piano di lottizzazione, attraverso la realizzazione diretta delle opere, estingue un debito di pari valore, secondo lo schema civilistico dell'obbligazione alternativa.
Poiché si tratta, quindi, di appalti pubblici di lavori, la Corte di giustizia ha ritenuto
applicabile agli stessi l'obbligo di esperire procedure ad evidenza pubblica secondo la normativa comunitaria; obbligo che sussiste anche nel caso in cui la scelta degli imprenditori incaricati della progettazione e dell'esecuzione delle opere spetti al lottizzante (titolare del permesso di costruire),non essendo necessario che il soggetto che conclude un contratto con l'amministrazione aggiudicatrice sia in grado di realizzare direttamente la prestazione pattuita, potendo tale soggetto farla eseguire a terzi.
Da ciò l'applicabilità alla fattispecie in questione del concetto di mandato, quale conferimento dei poteri relativi all'espletamento delle gare al privato lottizzante, fatti comunque salvi i poteri relativi alla sorveglianza, al controllo ed alla direzione nella realizzazione delle opere, che rimangono in capo all'amministrazione.
Alla luce di tale arresto comunitario, occorre comprendere se i principi enucleati nella descritta pronuncia eccedano l'ambito preso in esame nel caso di specie e possano trovare applicazione nei confronti di altre forme di negoziazione tra la pubblica amministrazione ed il privato.
In particolare, occorre stabilire se, anche per le fattispecie in esame, ricorrano gli elementi che hanno indotto la Corte di giustizia ad ascrivere all'«appalto pubblico di lavori» la realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo.
Invero, anche nelle ipotesi oggetto della presente determinazione non sembra dubbio che ricorra la qualità di amministrazione aggiudicatrice in capo all'ente pubblico procedente e, sotto il profilo oggettivo, che oggetto di esecuzione siano opere pubbliche, trattandosi comunque e sempre di opere di interesse generale realizzate a vantaggio della collettività.
Del pari, può sostenersi la natura negoziale del rapporto pubblico-privato, in quanto le
convenzioni urbanistiche hanno indubbia natura contrattuale, disciplinando il rapporto tra le parti con valore vincolante, sulla base di uno scambio sinallagmatico.
Infatti, il carattere oneroso della prestazione deve ritenersi sussistere in qualunque caso in cui, a fronte di una prestazione, vi sia il riconoscimento di un corrispettivo che può essere, a titolo esemplificativo, in denaro, ovvero nel riconoscimento del diritto di sfruttamento dell'opera (concessione) o ancora mediante la cessione in proprietà o in godimento di beni. In altri termini, il vantaggio economico in cui consiste la causa del negozio non deve obbligatoriamente essere limitato ad una corresponsione in denaro, ma ben può consistere in un riconoscimento di diritti suscettibili di valutazione economica.
Ne consegue, quindi, che le convenzioni urbanistiche mediante le quali i privati si obbligano a realizzare opere pubbliche presentano elementi e natura tali da essere riconducibili, sul piano tassonomico, allo stesso genus dei piani di lottizzazione, ancorché si configurino come tipi differenti di piani attuativi (i cosiddetti programmi complessi).
Ciò in quanto, come sopra riferito, la realizzazione di opere da parte del privato avviene comunque sulla base di accordi convenzionali conclusi dallo stesso con l'amministrazione per il raggiungimento di un proprio interesse patrimoniale, che é la causa del negozio giuridico in base al quale il privato stesso assume su di sé l'obbligo di realizzare le opere di cui trattasi.
Alla luce di quanto sopra, pertanto, si può ritenere che le fattispecie in esame siano da
ricondurre alla categoria dell'«appalto pubblico di lavori», da ciò derivando, come necessario corollario, che esse debbano essere affidate secondo procedure ad evidenza pubblica nel rispetto del diritto comunitario e nazionale vigente.
Né osta a tale ricostruzione il fatto che la realizzazione delle opere avviene tramite soggetti privati, atteso che la Corte costituzionale, con sentenza 28 marzo 2006, n. 129, ha espressamente stabilito che « il ricorso a procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente non può essere ritenuto incompatibile con gli accordi tra privati e pubblica amministrazione, giacché la possibilità che tali procedure siano svolte dagli stessi privati risulta già ammessa... dal citato art. 2, comma 5, della legge n. 109/1994.».
3. Sulla base di quanto suesposto, si pone ora il problema di individuare quali siano in concreto le procedure ad evidenza pubblica da applicare. Ciò in quanto le fattispecie in esame, pur contemplando, come sopra visto, la realizzazione di opere pubbliche, non trovano tuttavia una specifica regolamentazione nel decreto legislativo n. 163/2006, avendo il legislatore ivi disciplinato in maniera espressa, a fianco delle ordinarie procedure per la realizzazione di opere pubbliche, la sola fattispecie delle opere diurbanizzazione a scomputo di contributi concessori o conseguenti a piani di lottizzazione.
Occorre, quindi, stabilire se le fattispecie in esame possano essere ricondotte nella speciale disciplina dettata dal Codice per le opere a scomputo di oneri concessori o relative a convenzioni di lottizzazione o se invece debbano ricadere nella generale disciplina in materia di contratti pubblici contemplata nel medesimo decreto legislativo. Ovviamente la soluzione dovrà avere particolare riguardo al fatto che nell'ambito degli accordi convenzionali in questione può essere ricompresa non solo la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ma anche altri tipi di interventi edilizi a queste ultime non strettamente assimilabili (cfr. Tar Lombardia, Milano, n. 6541/2007).
Com'é noto, per quanto riguarda le opere di urbanizzazione a scomputo di oneri concessori, la relativa disciplina positiva é individuabile nel combinato disposto dell'art. 32, comma 1, lettera g), del decreto legislativo n. 163/2006 (come modificato dal decreto legislativo n. 113/2007), per gli interventi di valore superiore alla soglia comunitaria, e negli articoli 121, comma 1, e 122, comma 8, dello stesso decreto legislativo, per quelli di valore inferiore a tale soglia.
Dalle norme sopra citate si evince che il titolare del permesso di costruire o il privato
lottizzante, per la realizzazione dei lavori di urbanizzazione primaria e secondaria di importo superiore alla soglia comunitaria, ha la duplice possibilità di esperire egli stesso le procedure di gara nel rispetto della disciplina normativa contenuta nel Codice (sulla base di un mandato conferito dall'amministrazione: cfr. Corte Giustizia 12 luglio 2001, C-399/98, sopra citata) ovvero assumere la veste di promotore nell'ambito di una procedura ispirata al modello del project financing.
Analogamente, per i lavori di importo inferiore alla soglia comunitaria, ad eccezione delle opere di urbanizzazione primaria, per le quali il legislatore ammette la diretta realizzazione da parte del titolare del permesso di costruire o privato lottizzante, occorre fare applicazione della disciplina comune dettata per la scelta del contraente.
Orbene, ai fini dell'estensibilità della disciplina richiamata anche alle opere da realizzarsi
nell'ambito dei cosiddetti «programmi complessi», si formulano le seguenti osservazioni.
Da un lato il legislatore, relativamente alle opere di valore superiore alla soglia comunitaria, sembra aver voluto delimitare l'applicabilità della disciplina ivi dettata alla sola ipotesi delle opere previste a fronte di un singolo «permesso di costruire», eventualmente ricomprese nei piani di lottizzazione, avendo omesso di riportare la locuzione «a quanto agli interventi assimilabile», presente invece nel previgente art. 2, comma 5, della legge n. 109/1994 e successive modificazioni.
D'altro canto, però, per quanto riguarda le opere di valore inferiore alla soglia comunitaria, con la modifica apportata all'art. 122, comma 8, del Codice da parte del secondo decreto correttivo (decreto legislativo n. 113/2007), il legislatore ha utilizzato un parametro ben più flessibile, laddove ha ritenuto di ricomprendere (peraltro in recepimento delle osservazioni espresse dal Consiglio di Stato) anche le ipotesi in cui le opere siano funzionalmente connesse all'intervento edilizio assentito. Si tratta, cioé, di una fattispecie più ampia di quella dell'intervento pertinenziale al singolo edificio e conformata da un vincolo di funzionalità teleologica sotto il profilo edilizio-urbanistico.
Inoltre, occorre considerare che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza citata n. 129/2006, ha sostanzialmente ritenuto assimilabili le fattispecie delle opere realizzate a scomputo degli oneri di urbanizzazione a quelle derivanti in genere da accordi conclusi fra l'amministrazione e i privati, trattandosi pur sempre di fattispecie appartenenti alla cosiddetta urbanistica negoziata, nelle quali l'intervento si iscrive in un contesto pattizio tra amministrazione e privati. In entrambi i casi, infatti, si tratta di accordi a titolo oneroso che i privati proprietari stipulano con le amministrazioni e che sfociano nella realizzazione diretta degli interventi necessari.
Peraltro, va evidenziato come il contenuto dei piani di lottizzazione é comune a tutti i piani attuativi, dai Programmi integrati d'intervento ai Programmi di riqualificazione urbana, per cui un'interpretazione restrittiva del campo di applicazione del citato art. 32 del Codice non risulterebbe coerente con i principi ermeneutici di non contraddizione e di intrinseca coerenza logico-istematica.
D'altro lato, ove si ritenessero non assimilabili le fattispecie in esame, si dovrebbe optare per la pedissequa applicazione della disciplina relativa alla scelta del contraente e ciò renderebbeconcretamente non praticabile l'accordo complesso finalizzato alla trasformazione del territorio, con correlata disapplicazione della normativa di riqualificazione urbana e del territorio sopra richiamata. Osterebbe a tale possibilità, infatti, la presenza di soggetti direttamente individuati dal rapporto dominicale con le aree interessate dalle trasformazioni del territorio.
La riconduzione delle medesime fattispecie alla disciplina delle opere a scomputo dei contributi di urbanizzazione consente, invece, la coesistenza ordinamentale dei due ordini di regolamentazione, con salvezza, quindi, dei principi in materia di concorsualità nella individuazione dei contraenti della pubblica amministrazione.
Può, pertanto, ritenersi che la realizzazione di opere ricomprese nei «programmi complessi» debba essere disciplinata ai sensi dei citati articoli 32, 121 e 122 del decreto legislativo n. 163/2006.
4. Dalle due fattispecie sopra descritte va tenuto distinto il caso in cui la scelta del soggetto con cui concludere la convenzione urbanistica non discenda da un proposta autonoma del privato interessato, ma derivi da un reale confronto concorrenziale posto in essere preventivamente dall'amministrazione, con la fissazione dei criteri di scelta del privato contraente, accompagnata dalla richiesta dei prescritti requisiti di qualificazione per la esecuzione dei lavori.
In questa ipotesi, infatti, il privato formula le proprie proposte in piena concorrenza con altri operatori economici, sulla base di un'adeguata pubblicizzazione dell'iniziativa da parte dell'amministrazione e il soggetto che risulterà aggiudicatario potrà legittimamente eseguire in proprio l'intervento.
Al riguardo é opportuno evidenziare che le procedure ad evidenza pubblica che risultano più consone al tipo di affidamento in questione sembrano essere la finanza di progetto di cui agli articoli 153 e seguenti ed il dialogo competitivo di cui all'art. 58 del Codice dei contratti (al momento non ancora concretamente utilizzabile, non essendo stato emanato ed entrato in vigore il regolamento attuativo ex art. 5) a seconda che l'amministrazione ritenga di addivenire ad un affidamento concessorio, includendovi quindi anche l'eventuale successiva gestione delle opere realizzate, ovvero ad un mero appalto per l'esecuzione delle opere.
Entrambi gli istituti richiamati consentono, infatti, all'amministrazione di instaurare un dialogo aperto con gli offerenti, stante la flessibilità delle procedure ivi previste, che rispondono maggiormente alla complessità degli interventi che l'amministrazione generalmente pone in essere nell'ambito dei cosiddetti programmi complessi.
In particolare, il ricorso all'istituto del dialogo competitivo consentirebbe all'amministrazione di verificare le risposte del mercato relativamente a tutti gli aspetti dell'intervento, al fine di addivenire alla miglior definizione del progetto anche mediante la combinazione dei migliori elementi delle proposte pervenute dai privati.
Sulla base di quanto sopra considerato, il Consiglio ritiene che:
la realizzazione di opere prevista dalle convenzioni urbanistiche rientra nella nozione di appalto pubblico di lavori;
l'affidamento dell'esecuzione delle suddette opere soggiace alla disciplina contenuta negli articoli 32, comma 1, lettera g), 121, comma 1, e 122, comma 8, del decreto legislativo n. 163/2006, salvo il caso in cui le amministrazioni procedenti abbiano esperito preventivamente una procedura ad evidenza pubblica per la scelta del privato sottoscrittore del relativo accordo convenzionale.
Roma, 2 aprile 2008
Il presidente: Giampaolino
Il consigliere relatore: Botto
Problemi inerenti la partecipazione alle gare di appalto delle associazioni temporanee di imprese
Sono pervenuti all’Autorità numerosi quesiti riguardanti l’interpretazione delle norme che regolano la partecipazione alle gare dei raggruppamenti di imprese .
A) Due quesiti si riferiscono all’articolo 13, comma 5-bis, della legge 14/02/1994 n. 109 e successive modificazioni. Tale articolo dispone il divieto di qualsiasi modificazione alla composizione delle associazioni temporanee di imprese rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta.
Le problematiche sottoposte all’esame dell’Autorità riguardano essenzialmente la portata delle deroghe al divieto prescritto dalla norma in questione.
In particolare è stato chiesto se un aggiudicatario costituito da un’associazione temporanea di imprese possa sostituire una impresa mandante che si trovi in condizioni di difficoltà finanziarie.
E’ stato, altresì, chiesto di chiarire se nell’ipotesi previste dall’articolo 12, comma 1, del DPR 3 giugno 1998 n. 252, possa derogarsi all’articolo 13, comma 5 bis, della legge 109/94 e successive modificazioni oppure se la prima disposizione debba ritenersi abrogata dalla successiva disposizione di legge.
Va preliminarmente chiarito che il divieto di modificazione nella composizione del raggruppamento contenuto nell’articolo 13, comma 5-bis, della legge 109/94, e successive modificazioni trova una espressa eccezione normativa nel disposto dell’articolo 94 del D.P.R. 21/12/1999 n. 554. E’ stabilito, infatti, che la modificazione può avvenire al verificarsi di vero e proprio fallimento dell’impresa mandataria o di un’impresa mandante e, nel caso di mandataria o mandante che sia impresa individuale, per morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del suo titolare.
L’articolo 12 del DPR 252/98 prevede che qualora una delle cause interdittive previste dalla normativa antimafia interessi un’impresa di una raggruppamento, diversa dalla mandataria, tale causa non opera nei confronti delle altre imprese partecipanti quando la predetta impresa sia estromessa. Poiché tale disposizione è qualificabile come normativa di ordine pubblico in quanto integra la disciplina in materia di lotta alla criminalità mafiosa essa è da considerarsi normativa speciale che prevale su quelle di carattere generale come la legge quadro in materia di lavori pubblici.


L’Autorità ritiene pertanto che:
a) la disposizione di cui all’articolo 94 del DPR 554/99, stante il suo carattere di norma eccezionale, consente di derogare al principio generale del divieto di qualsiasi modificazione alla composizione delle associazioni temporanee di imprese rispetto a quelle risultanti dall’impegno presentato in sede di offerta, soltanto nel caso di fallimento dell’impresa mandataria o di un’impresa mandante e, qualora la mandataria o la mandante sia una impresa individuale, anche in casi di morte, interdizione, inabilitazione del suo titolare;
b) la disposizione contenuta nell’articolo 12 del DPR 252/98, in quanto normativa speciale in materia di ordine pubblico, è da ritenersi tutt’ora vigente e compatibile con la disciplina generale sui lavori pubblici; pertanto, la disposizione ivi contenuta deroga al generale anzidetto divieto di cui all’articolo 13, comma 5-bis della legge 109/94 e successive modificazioni.
B) Altri quesiti riguardano l’interpretazione dell’articolo 13, comma 7, della legge 109/94 e successive modificazioni.
Tale disposizione vieta l’affidamento in subappalto di opere, diverse da quelle della categoria prevalente, che siano di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, “qualora ciascuna di tali opere superi in valore il 15% dell’importo totale dei lavori”. Tali opere devono essere eseguite esclusivamente dai soggetti affidatari; i soggetti che non siano in possesso delle prescritte qualificazioni sono tenuti a costituire associazioni temporanee di tipo verticale.
E’ stato chiesto se l’obbligo di raggruppamento verticale, previsto dal predetto articolo, sia operativo anche nel caso in cui il bando di gara preveda, oltre a lavorazioni appartenenti alla categoria prevalente, altre lavorazioni appartenenti ad altre categorie, generali o specializzate previste dall’articolo 72, comma 4, del DPR 554/99, ma solo una di esse sia di importo pari o superiore al 15% dell’importo dei lavori.
E’ stato chiesto, inoltre, se - qualora nel bando di gara siano indicate, oltre a lavorazioni appartenenti alla categoria prevalente, altre lavorazioni appartenenti a categorie diverse dalla prevalente delle quali una sola è categoria generale oppure categoria appartenente all’elenco di cui all’articolo 72, comma 4, del DPR 554/99, ed è inoltre di importo pari o superiore al 15% dell’importo complessivo dei lavori - sussista l’obbligo di costituire un’associazione verticale per tutte le categorie diverse dalla prevalente indipendentemente se generali o appartenenti al predetto elenco.
é stato posto, infine, un quesito riguardante un bando di gara nel quale sono presenti, oltre a lavorazioni appartenenti alla categoria prevalente, altre lavorazioni appartenenti a categorie diverse dalla prevalente, generali oppure appartenenti all'elenco di cui all'articolo 72, comma 4, del DPR 554/99, tutte di importo superiore al 15% dell'importo dell'appalto ma inferiori a 150.000 euro. E’ stato chiesto se anche in tale ipotesi si ricade nel divieto di subappalto previsto dall'articolo 13, comma 7, della legge 109/94 e successive modificazioni.
Va in primo luogo rilevato che un’interpretazione letterale dell’articolo 13, comma 7, della legge 109/94 e successive modificazioni e le disposizioni dell’articolo 74, commi 1 e 2, del DPR 554/1999, fanno ritenere che il divieto di subappalto riguarda le lavorazioni delle categorie, diverse dalla prevalente, indicate nel bando di gara, qualora siano generali oppure appartenenti all’elenco di cui all’articolo 72, comma 4, del DPR 554/99 e qualora tutte siano di importo superiore al 15% dell’importo complessivo dell’appalto.
L’Autorità pertanto ritiene che:
a) non ci sono i presupposti per il divieto del subappalto qualora nel bando di gara siano indicate più categorie diverse dalla prevalente delle quali più di una è generale o appartenente all'elenco di cui all'articolo 72, comma 4, del DPR 554/99, ma una sola è di importo pari o superiore al 15% dell’ importo complessivo dell’intervento;
b) il divieto di subappalto sussiste, invece, qualora nel bando di gara siano indicate più categorie diverse dalla prevalente delle quali una sola è generale o appartenente al suddetto elenco ed è di importo pari o superiore al 15% dell’importo complessivo dell’intervento ma il divieto si applica esclusivamente alle lavorazioni appartenenti alla suddetta categoria; per le altre categorie l’impresa può, comunque, costituire, una associazione verticale;
c) il sistema delineato dall'articolo 13, comma 7, della legge 109/94 e successive modificazioni e dall'articolo 72, comma 4, del DPR 554/99, poiché fa riferimento al sistema di qualificazione di cui al DPR 34/2000, si applica solo ai casi in cui gli importi degli appalti e/o dei subappalti siano pari o superiori a 150.000 euro e, dunque, fuori dall’ipotesi di cui all’articolo 28 del DPR 25/01/2000 n.34 che stabilisce i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi per la partecipazione agli appalti di importo inferiore a 150.000 euro.
C) Sono state segnalate questioni riguardanti l’interpretazione dell’articolo 95, comma 2, del DPR 554/99 ed in particolare del secondo periodo.
Tale disposizione prevede che per le associazioni temporanee di imprese di tipo orizzontale i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi minimi richiesti (oppure a regime l’attestazione SOA) devono essere posseduti dalla mandataria nella misura pari o superiore al 40%, mentre la restante percentuale è posseduta dalle mandanti ciascuna nella misura pari o superiore al 10%. La norma impone poi che in ogni caso l’impresa mandataria debba possedere i requisiti in misura maggioritaria.
E’ stato posto il problema di accertare se la quota maggioritaria della mandataria debba intendersi riferita ai requisiti minimi previsti per la partecipazione alla specifica gara ovvero debba riferirsi al fatto che la mandataria deve essere comunque quella impresa che, fra le imprese associate, sia in possesso in assoluto dei maggiori requisiti economico-finanziari e tecnico- organizzativi, a prescindere da quelli minimi previsti per lo specifico appalto cui l’ATI concorre.


L’Autorità ritiene che:
a) l’articolo 95, comma 2, del DPR 554/1999 nel primo periodo fa riferimento ai requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi richiesti nel bando e, pertanto, è da ritenersi che i requisiti cui si riferisce il secondo periodo del suddetto comma siano questi stessi e, cioè, quelli minimi necessari in rapporto all’importo complessivo dell’intervento;
b) l’espressione “L’impresa mandataria in ogni caso possiede requisiti in misura maggioritaria” deve essere interpretata con riferimento ai requisiti minimi richiesti per la partecipazione allo specifico appalto con la conseguenza che non è consentito che la percentuale coperta dalle mandanti, al fine di dimostrare da parte dell’associazione temporanea il possesso del 100% dei requisiti minimi, sia costituita da una quota di una mandante che sia di importo superiore a quella della mandataria;
c) qualora la disposizione non si riferisse ai requisiti minimi richiesti per lo specifico appalto ma ai requisiti posseduti in assoluto dai concorrenti, si creerebbe un vincolo restrittivo al mercato, in contrasto con il principio della libertà di determinazione delle imprese in sede associativa, in quanto sarebbero privilegiate comunque le imprese di maggiori dimensioni.
D) Altre questioni sono state poste in merito alla disposizione di cui all’articolo 93, comma 4, del DPR 554/99 che prescrive che le imprese riunite in associazione eseguano i lavori nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento.
In relazione a tale disposizione si sono poste due questioni: è stato richiesto in primo luogo se possa considerarsi legittimo che in una ATI orizzontale le imprese eseguano i lavori in percentuale diversa da quella di partecipazione all’ATI. In secondo luogo se sia da considerarsi legittimo che una impresa mandataria di un’ATI, svolga interamente ed autonomamente l’intera prestazione oggetto dell’appalto.


L’Autorità ritiene che:

a) fermo restando che possono eseguire le lavorazioni solo le imprese associate che sono qualificate per la categoria e l’importo delle stesse, la quota di partecipazione al raggruppamento dipende dall’atto che regola i rapporti tra le associate che ha rilevanza in sede di esecuzione del contratto e nei confronti della stazione appaltante e, pertanto, come più volte affermato dalla giurisprudenza, ciascuna stazione appaltante ha l’obbligo di verificare che ogni impresa associata collabori all’esecuzione dell’opera;
b) l’articolo 93, comma 4, del DPR 554/99 ha esteso il principio suddetto richiedendo alle stazioni appaltanti non solo di controllare che tutte le associate partecipino all’esecuzione dei lavori, ma anche che vi sia esatta rispondenza tra quota di partecipazione al raggruppamento e percentuale di lavori eseguiti;
c) resta ferma la facoltà delle imprese associate di costituire, ai sensi dell’articolo 96 del DPR 554/1999, una società per la esecuzione, totale o parziale, dell’intervento.
E) Altro quesito riguarda la disposizione di cui all’articolo 32, comma 1, lettera c), del DPR 34/2000 che prevede, tra i requisiti di idoneità tecnica, l’esecuzione nella categoria prevalente oggetto dell’appalto, di singoli lavori, i cosiddetti “lavori di punta”, (uno, due o tre rispettivamente di importo non inferiore al 30%, al 40% e al 50% dell’importo dell’intervento da affidare) da parte del concorrente.
E’ stato chiesto all’Autorità se, nel caso in cui alla gara concorra un’ATI orizzontale ed il possesso del requisito predetto venga dimostrato mediante due o tre “lavori di punta”, essi debbano essere stati eseguiti tutti e due o tutti e tre da una sola impresa facente parte dell’ATI oppure possano essere stati eseguiti uno da una impresa e gli altri due da altre due imprese facenti parte dell’ATI oppure se possono essere stati eseguiti ognuno in diverse percentuali da più imprese.

Va rilevato che:
a) l’articolo 13, comma 3, della legge 109/94 e successive modificazioni, per le associazioni temporanee di tipo verticale, prevede la possibilità di frazionamento dei requisiti fra mandataria e mandante esclusivamente se essi sono frazionabili;
b) l’articolo 32, comma 3, del DPR 34/2000, per quanto attiene ai cosiddetti “lavori di punta” stabilisce espressamente che qualora il concorrente sia una associazione temporanea o un consorzio o un GEIE ogni singolo “lavoro di punta” debba essere stato integralmente eseguito da una delle imprese associate o consorziate.
L’Autorità ritiene pertanto che:
a) non è vietato che, qualora il requisito richiesto sia dimostrato da più di un “lavoro di punta”, ognuno di questi sia stato eseguito da uno dei partecipanti al raggruppamento.
b) ogni singolo “lavoro di punta” deve essere stato eseguito integralmente da una delle imprese facenti parte dello stesso.
F) Un ulteriore ordine di problemi riguarda la qualificazione delle associazioni temporanee di imprese (orizzontale e verticale) nella vigenza del regime transitorio stabilito dagli articoli 31 e 32 del DPR34/2000 .
In particolare alcune questioni sottoposte all’esame dell’Autorità riguardano gli appalti di importo superiore al controvalore in euro di 5 milioni di DSP indetti dal 1° marzo 2001.
E’ stato posto il problema di individuare quali debbano o possono essere i requisiti di qualificazione dei raggruppamenti in un bando di gara indetti dopo il 1 marzo 2001, di importo pari o superiore al controvalore in euro di 5 milioni di DSP ma nel quale siano presenti anche lavorazioni subappaltabili o scorporabili, singolarmente di importo inferiore a tale soglia.
In particolare è stato chiesto se l’impresa mandataria o mandante che partecipa all’ATI debba, comunque, possedere l’attestazione SOA anche se la quota dell’importo complessivo dell’appalto di propria competenza sia inferiore a 5 milioni di DSP, oppure possa partecipare alla gara dimostrando il possesso dei requisiti di cui all’articolo 31 del medesimo DPR 34/2000, in relazione ai requisiti prescritti per le imprese riunite dall’articolo 95 del DPR 554/99, con le modalità previste dal DPR 34/2000.
E’ stata posta una ulteriore questione concernente la qualificazione che debbano avere i raggruppamenti dopo la completa entrata a regime (1 gennaio 2002) del sistema di qualificazione di cui al DPR 34/2000, in relazione ai bandi di gara per l'affidamento di appalti di importo inferiore ai 3 miliardi di lire che, per effetto dell'articolo 73, comma 3, del DPR 554/99, potrebbero prevedere opere subappaltabili o scorporabili di importo inferiore a 150.000 euro. Si pone la questione se le imprese che assumono li lavori subappaltabili o scorporabile debbano essere, comunque, in possesso dell'attestazione SOA oppure si possano qualificare anche sulla base dell'articolo 28 del DPR 34/2000.
Va in primo luogo ricordato che:
a) nel bando di gara, ai sensi dell’articolo 73 del DPR 554/99 e dall’articolo 30 del DPR 34/2000, devono essere indicate (con i corrispondenti importi) le lavorazioni appartenenti alla categoria prevalente e le lavorazioni appartenenti ad altre categorie che costituiscono parti dell’intervento e che sono, ancorché comprese nelle categorie generali, autonomi lavori (cioè sono riconducibili ad una delle categorie di cui al DPR 34/2000) e sempre che siano di importo superiore al 10% dell’importo totale oppure, comunque, di importo superiore a 150.000 euro (opere tutte scorporabili e/o subappaltabili);
b) l’art. 95, commi 1 e 3, del D.P.R. 554/1999 prevede che possono partecipare alla gara:
1) soggetti singoli, con requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi pari, in via alternativa, a:
· quelli prescritti per la categoria prevalente per l’importo complessivo dell’intervento;
· quelli prescritti per la categoria prevalente e per le altre categorie indicate nel bando e per i corrispondenti singoli importi;
· quelli prescritti per la categoria prevalente e per alcune delle categorie indicate nel bando con il vincolo che i requisiti non posseduti nelle categorie, generali o specializzate, diverse dalla prevalente siano posseduti con riferimento alla categoria prevalente;
2) associazioni temporanee di tipo orizzontale la cui mandataria deve possedere i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi in misura non inferiore al 40% di quelli prescritti per il soggetto singolo e le cui mandanti non inferiore al 10%.
3) associazioni temporanee di tipo verticale i cui requisiti siano posseduti dalla mandataria nella categoria prevalente e da ciascuna mandante nella rispettiva categoria scorporata assunta, in misura non inferiore a quelli necessari per eseguire lavori della medesima categoria e nella misura indicata per l’impresa singola; qualora una categoria scorporata non venga assunta da una mandante la mandataria deve possedere i requisiti in queste categorie o nella prevalente.
La logica seguita dal DPR 554/1999 e dal DPR 34/2000 è, quindi, quella di articolare i requisiti di partecipazione alla gara, quale che sia il soggetto concorrente, in relazione alla categoria prevalente per la classifica corrispondente all'importo totale dell'intervento, oppure in relazione a tutte le categorie per le classifiche corrispondenti ai singoli importi indicati nel bando di gara. Le norme (articolo 74 del DPR 554/1999, premesse all’allegato A al DPR 34/2000 e “tabella corrispondenze nuove e vecchie categorie” del medesimo allegato) prevedono, poi, che l’aggiudicatario possa eseguire le lavorazioni della categoria prevalente, le lavorazioni delle categorie subappaltabili e/o scorporabili a qualificazione non obbligatoria e, qualora in possesso delle corrispondenti qualificazioni, le lavorazioni delle categorie subappaltabili e/o scorporabili a qualificazione obbligatoria.
Il DPR 34/2000 suddivide, invece, ai fini della qualificazione nel regime transitorio, gli appalti in due fasce d'importo: la prima fascia, disciplinata dall’articolo 31 del suddetto DPR 34/2000, riguarda gli appalti d'importo tra i 150.000 ed i 5.000.000 di DSP indetti fino al 31/12/2001; la seconda, disciplinata dall’articolo 32 del suddetto DPR 34/2000, riguarda gli appalti di importo superiore ai 5 milioni di DSP indetti entro il 28 febbraio 2001. Può concludersi che la fase transitoria è disciplinata dal DPR 34/2000 e la fase a regime è disciplinata dal DPR 554/1999.
Dal combinato disposto delle due norme l’Autorità ritiene che:
a) nella fase transitoria le modalità di dimostrazione dei prescritti requisiti dipendono dall’importo delle lavorazioni cui essi si riferiscono;
b) le mandatarie e le mandanti, qualora assumono l’esecuzione di lavorazioni di importo inferiore a 5 milioni di DSP, possono dimostrare i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi mediante l’attestazione SOA oppure con le modalità e misure previste dal DPR 34/2000;
c) a regime, qualora le lavorazioni scorporabili o subappaltabili siano di importo inferiore a 150.000 euro, le imprese che assumono l’esecuzione di dette lavorazioni, nel caso non siano in possesso di attestazione SOA, debbono possedere i requisiti di cui all’articolo 28 del DPR 34/2000 e, cioè, avere eseguito direttamente, nel quinquennio antecedente la data di pubblicazione del bando, un importo di lavori non inferiore all’importo del contratto da stipulare, avere sostenuto nel suddetto periodo un costo complessivo per il personale dipendente non inferiore al 15% dell’importo dei lavori eseguiti (o di quello figurativamente individuato) e dimostrare di avere la disponibilità di adeguata attrezzatura.
G) La problematica della qualificazione è stata sollevata, anche con riguardo ai requisiti dei subappaltatori. E’ stato chiesto se il soggetto che assume un subappalto possa essere una ATI.
Va precisato preliminarmente che l'articolo 18, comma 3, della legge 55/90 stabilisce i subappaltatori devono essere in possesso dei requisiti previsti dalla vigente normativa in materia di qualificazione delle imprese.
L’Autorità ritiene pertanto che:
a) per quanto riguarda la possibilità o meno che una associazione temporanea di imprese possa assumere un subappalto nell’ordinamento non è previsto nessuno specifico divieto in tal senso;
b) i subappaltatori devono possedere i requisiti in rapporto alla categoria e classifica dei lavori che assumono e che possono essere anche associazioni temporanee di imprese purché costituite anteriormente al momento in cui si formula la domanda di autorizzazione al subappalto.
Il Segretario
Maria Esposito
Il Presidente
Prof. Francesco Garri
Depositato presso la Segreteria del Consiglio in data 23 luglio 2001



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