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Sentenza di incostituzionalità emessa dalla Corte Costituzionale e conseguenze
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a cura della redazione
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Sentenza di incostituzionalità emessa dalla Corte Costituzionale e conseguenze. Problematica relativa a rapporti costituitisi in base ad una norma dichiarata successivamente incostituzionale. Le conseguenze dell'illegittimità costituzionale della circostanza aggravante.
Qui di seguito verrà effettuata un'ampia disamina sulle più importanti sentenze della Cassazione, della Corte Costituzionale, del Consiglio di Stato e dei Tribunali di merito sulla problematica relativa a rapporti costituitisi in base ad una norma dichiarata successivamente incostituzionale. "La pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge comporta non già l'abrogazione, o la declaratoria di inesistenza o di nullità, o l'annullamento della norma dichiarata contraria alla costituzione, bensì la disapplicazione della stessa, dando luogo ad un fenomeno che si colloca, sul piano effettuale, in una posizione intermedia tra l'abrogazione, avente di regola efficacia ex nunc, e l'annullamento che, normalmente, produce effetti ex tunc. Pertanto, la norma dichiarata costituzionalmente illegittima deve essere disapplicata con effetti ex nunc o con efficacia ex tunc, a seconda che tale diversa efficacia nel tempo della dichiarazione di incostituzionalità discenda dalla natura o dal contenuto della norma illegittima, oppure dalla portata del precetto costituzionale violato o dal diverso grado di contrasto tra quest'ultimo e la norma di legge, ovvero, infine dalla natura del rapporto sorto nel vigore statuisce soltanto per il futuro e non per il passato facendo quindi salvi i diritti acquisiti. Dello stesso avviso sono numerosissime altre sentenze sia della Corte di Cassazione che del Consiglio di Stato nonché della Corte Costituzionale, laddove si afferma che " mentre l'efficacia retroattiva della dichiarazione di illegittimità costituzionale è giustificata dalla stessa eliminazione della norma che non può più regolare alcun rapporto giuridico salvo che si siano determinate situazioni giuridiche ormai esaurite, in ipotesi di successione di legge - dal momento che la norma anteriore è pienamente valida ed efficace fino al momento in cui non è sostituita - la nuova legge non può che regolare i rapporti futuri e non anche quelli pregressi, per i quali vale il principio che la disciplina applicabile è quella vigente al momento in cui si p realizzata la situazione della norma successivamente dichiarata incostituzionale. Fuori delle ipotesi, aventi carattere di eccezionalità, in cui essa travolge tutti gli effetti degli atti compiuti in base alla norma illegittima, la dichiarazione di incostituzionalità (avuto riguardo al precetto costituzionale violato, alla disciplina dettata dalla norma riconosciuta costituzionalmente illegittima e alla natura del rapporto disciplinato da quest'ultima) comporta la caducazione dei soli effetti non definitivi e, nei rapporti ancora in corso di svolgimento, anche degli effetti successivi alla pubblicazione della sentenza della corte costituzionale, restando quindi fermi quegli effetti anteriori che, pur essendo riconducibili allo stesso rapporto non ancora esaurito, abbiano definitivamente conseguito, in tutto o in parte, la loro funzione costitutiva, estintiva, modificativa o traslativa di situazioni giuridicamente rilevanti (Cass. Civile, sez. III, 11-04-1975, n. 1384)". E' notorio, infatti, che una sentenza della Corte Costituzionale giuridica il fatto generatore del diritto. (Cass. civile, sez. 28 maggio 1979, n. 311 in giustizia civile mass 1979 fasc. 5)". "L'efficacia retroattiva della sentenza dichiarativa dell'illegittimità costituzionale di norma di legge non si estende ai rapporti esauriti, ossia a quei rapporti che, sorti precedentemente alla pronuncia della Corte , abbiano dato luogo a situazioni giuridiche ormai consolidate ed intangibili in virtù del passaggio in giudicato di decisioni giudiziali, della definitività di provvedimenti amministrativi non più impugnabili, del completo esaurimento degli effetti di atti negoziali, del decorso dei termini di prescrizione o decadenza, ovvero del compimento di altri atti o fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale. (Trib. Roma 14 febbraio 1995)". "Le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall'origine la validità e l'efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche "consolidate" per effetto di eventi che l'ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudica, l'atto amministrativo non più impugnabile, la prescrizione e la decadenza. (Cass. civ. sez. III 28 luglio 1997 n. 7057)." "La retroattività delle sentenze interpretative additive, pronunciate dalla Corte costituzionale, trova il suo naturale limite nella intangibilità delle situazioni e dei rapporti giuridici ormai esauriti in epoca precedente alla decisione della Corte ( Fattispecie nella quale il provvedimento di esclusione dai corsi speciali I.S.E.F. è stato impugnato in sede giurisdizionale e in quella sede è stato riconosciuto legittimo con sentenza passata in giudicato, con conseguente intangibilità del relativo rapporto) (Con. giust. amm. Sicilia 24 settembre 1993, n. 319)." "Sebbene la legge non penale possa avere efficacia retroattiva, tale retroattività, specialmente nel settore della c.d. interpretazione legislativa autentica, incontra limiti nelle singole disposizioni costituzionali e nei fondamentali principi dell'ordinamento, tra i quali va annoverata l'intangibilità del giudicato, nella specie giudicato amministrativo, in quanto il suo contenuto precettivo costituisce un modo di essere non più mutabile della realtà giuridica; pertanto, l'amministrazione non può più esimersi ancorché sia intervenuta una nuova legge (nella specie, la l. 23 dicembre 1992 n. 498 art. 13) dall'ottemperare al giudicato, dovendosi anzi ritenere, onde il legislatore, adottando la norma d'interpretazione autentica, abbia comunque inteso escludere dalla sua applicazione le situazioni coperte dal giudicato. (Consiglio di Stato a. plen., 21 febbraio 1994, n. 4)." "Il principio secondo il quale l'efficacia retroattiva delle pronunce della Corte Costituzionale recanti dichiarazione di illegittimità costituzionale incontra il limite della irrevocabilità degli effetti prodotti dalla norma invalidata nell'ambito dei rapporti esauriti, è applicabile alle sentenze così dette additive. (Consiglio di Stato sez. VI, 20 novembre 1995, n. 1312)". Pertanto quando un ente o un'amministrazione dello Stato revoca un atto ormai perfetto valido ed efficace basandosi sull'assunto che l'atto risulta essere in vigore in base ad una norma incostituzionale, nonostante che l'atto stesso risulti avere tali requisiti sin dall'inizio o li abbia acquisiti nel corso del tempo e, comunque, prima della sentenza d'incostituzionalità ovvero, in caso di vizi, quest'ultimi non siano stati fatti valere nella sede opportuna rispettando i modi e i tempi dell'impugnazione, è possibile ricorrere ai T.A.R. per l'annullamento del provvedimento. In realtà una norma dichiarata incostituzionale rimane in vigore fino a quando non venga abrogata da una norma di pari grado o di grado superiore ovvero da una sentenza della Corte Costituzionale che in casi eccezionali può disporre per il passato a patto che, naturalmente, ne faccia espressa menzione e che tale retroattività sia debitamente motivata. In verità, "Il principio d'irretroattività costituisce regola generale dell'ordinamento giuridico, assumendo però rango costituzionale solo in riferimento alle norme penali incriminatrici ed alle altre norme di carattere afflittivo. Ne consegue che anche gli atti amministrativi non possono avere, a livello tendenziale ed in applicazione del principio di legalità, forza retroattiva, salva espressa previsione di legge derogatoria; in tale eccezionale ipotesi tuttavia vanno preservati: a) le posizioni soggettive dei terzi; b) la preesistenza dei presupposti di fatto e di diritto richiesti per l'emanazione dell'atto fin dalla data alla quale si vogliono far risalire gli effetti; c) i fatti già avvenuti in epoca anteriore" (Consiglio di Stato sez. IV, 30 marzo 1998, n. 502). Questo significa che una legge, anche se dichiarata incostituzionale, continua ad esplicare i suoi effetti per quei rapporti costituitisi prima della sentenza della Corte Costituzionale per un principio che può definirsi "di legalità". La stessa legge dovrà comunque essere disapplicata per i rapporti non ancora costituiti o in corso di perfezionamento. Per cui non si può certo dire che la sentenza della Corte Costituzionale abroghi la legge. E' noto, infatti, che una norma può essere abrogata da un'altra norma che sia di pari grado o di grado superiore e di emanazione legislativa. In ogni caso si avrà come risultato di ritenere, comunque, abrogata la norma incostituzionale nei confronti di eventuali nuovi rapporti o nei confronti di quelli in corso di costituzione e non ancora perfetti; sarà valida ed efficace per quelli perfezionatisi in momenti precedenti al giudizio della Corte Costituzionale.
Le conseguenze dell'illegittimità costituzionale della circostanza aggravante. Il corretto inquadramento della questione presuppone brevi cenni sull’efficacia temporale delle pronunce della Corte Costituzionale la quale, qualora accerti il contrasto con la Carta Fondamentale di una norma, ne dichiara l’illegittimità costituzionale, eliminandola dall’ordinamento con la conseguenza che essa non potrà trovare applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione. Gli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale contrariamente alla funzione svolta dall’abrogazione normativa avente efficacia ex nunc, colpiscono la norma sin dall’origine, vale a dire ex tunc, non estendosi di regola ai rapporti esauriti. Tuttavia, rispetto alle norme penali incriminatrici l’art. 30, comma 4, L. 87 del 1953 dispone che “quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”. L’art. 673 c.p.p, fornisce poi sul piano processuale lo strumento della revoca delle sentenze penali di condanna, emesse sulla base di norme dichiarate costituzionalmente illegittime o abrogate. Tale quadro normativo, in adesione al principio fondamentale di legalità, posto a fondamentale garanzia dell’individuo che non può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso, (salvo il principio della retroattività in melius) impone di ritenere non suscettibile di incriminazione il soggetto che abbia violato un precetto penale dichiarato incostituzionale, travolgendo anche l’eventuale giudicato della sentenza di condanna. Tuttavia quanto innanzi necessita di un maggiore approfondimento considerando, come richiesto dalla traccia, di esaminare le conseguenze di illegittimità costituzionale di una circostanza aggravante, anche qualora sulla base della stessa sia stata emanata una condanna passata in giudicato. Posto che il criterio discretivo tra circostanze ed elemento costitutivo del reato risiede, secondo l’orientamento maggioritario in dottrina ed in giurisprudenza, non solo nel differente nomen iuris, ma nel fatto che le prime sono elementi specializzanti che lungi dal comporre la struttura del reato, ineriscono ad essa in via eventuale ed accidentale, si potrebbe sostenere secondo un’ interpretazione tesa a circoscrivere in maglie quanto piu strette possibili le eccezioni al principio dell’intangibilità del giudicato -presidio inevitabile di certezza dei rapporti giuridici- solo l’illegittimità costituzionale di una norma che incrimina un dato comportamento stabilendo la relativa sanzione può avere l’efficacia ex tunc sopra sottolineata, e quindi travolgere il giudicato, mentre la rimozione in via di legittimità dell'aggravante non potrebbe sortire gli stessi effetti. Ma sussistono indubbi profili di diritto che convergono al contrario nel ritenere che anche l’accertamento dell’illegittimità costituzionale di una circostanza che incida solo sul quantum della pena possa produrre invalidanti ex tunc, colpendo quindi anche una condanna passata in giudicato. In primo luogo depongono il tal senso il tenore strettamente letterale dell'art. 30 comma 4 che non circoscrive in alcun modo né direttamente né indirettamente il divieto di dare esecuzione alla condanna pronunziata “in applicazione” di una norma penale dichiarata incostituzionale, nonché dell'art.136 Cost che non pone alcun limite all'effetto retroattivo della pronuncia di incostituzionalità. Ma è soprattutto l’adesione ai precetti costituzionali della responsabilità penale personale e della funzione rieducativa della sanzione penale ad imporre di non ritenere conforme alla Carta, rectius di eseguire una qualsiasi frazione di pena comminata sulla base dell'applicazione di un'aggravante costituzionalmente illegittima. In questa prospettiva si muove la Corte Costituzionale che, sancendo l'illegittimità costituzionale dell'aggravante della clandestinità di cui all'art. 61, n. 11 bis c.p. -lesiva di plurimi principi costituzionali tra cui spicca quello di uguaglianza-ragionevolezza- pare attestare l'incompatibilità a Costituzione di una sopravvivenza della pena – o della parte di pena- relativa ad un'aggravante dichiarata costituzionalmente illegittima. Né potrebbe in senso contrario valere l'accennato richiamo al principio dell'intangibilità del giudicato atteso che questo già eroso dal comma 3 dell’art.2 c.p. (se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva infilitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, può essere a fortiori essere limitato dal caso della cancellazione di una disposizione che prevede un aumento di pena per il caso dell’aggravante illegittima. Inoltre, occorre tuttavia considerare che il divieto di dare applicazione – anche nella fase di esecuzione della pena – ad una norma dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale è, come detto, principio di rango costituzionale o avente chiari riferimenti costituzionali sopra menzionati e quindi è necessariamente sovraordinato – dal punto di vista della gerarchia delle fonti – rispetto al fascio di interessi sottesi all'intangibilità del giudicato (certezza dei rapporti giuridici, economia processuale, etc.), la cui copertura costituzionale è assai meno evidente. In questo senso l'interprete apporrebbe sì una ulteriore deroga (tra le molte già previste dall'ordinamento) al principio dell'intangibilità del giudicato, in omaggio però ad un altro principio di carattere generale e di inequivoco rango costituzionale, quale quello che impone la rimozione ex tunc, ogniqualvolta ciò sia possibile, degli effetti di una norma di legge emanata in contrasto con la Costituzione. Non a caso, del resto, la Cassazione ha recentemente fatto ricorso all'applicazione analogica del ricorso straordinario previsto dalla disposizione (pure usualmente riconosciuta come eccezionale) dell'art. 625-bis c.p.p. contro sentenze già passate in giudicato, al fine di assicurare tutela a diritti fondamentali del condannato (così come riconosciuti dagli artt. 6 e 7 CEDU), violati secondo l'apprezzamento della Corte europea dei diritti dell'uomo nei rispettivi processi penali, già conclusisi con sentenza di condanna definitiva Considerato quindi che è conforme a Costituzione affermare che la sentenza di illegittimità costituzionale di una circostanza aggravante produce effetti demolitori anche del giudicato, si tratta di individuare lo strumento processuale atto a produrre tali effetti. A tal riguardo, anche se l'art. 673 c.p. sembra riferirsi espressamente solo alla revoca di sentenze emesse in base a norme riguardanti fatti-reato, nulla vieta, applicando l'analogia in bonam partem di estendere tale previsione anche alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'aggravante, purchè si precisi che non si tratta propriamente di revoca della sentenza, quanto di rideterminazione della pena, espunta al netto dell'aggravante dichiarata costituzionalmente illegittima. Riteniamo, a questo punto, rchiamare l'attenzione del lettore sulla sentenza della Suprema Corte di Cassazione, prima sezione penale, del 13 gennaio 2012 n 977 (riportata sia in "massimario" che in "sentenze penali". La suprema Corte che chiarito che nell'ipotesi di declaratoria di illegittimità costituzionale di una circostanza aggravante non può darsi esecuzione alla sentenza di condanna per la parte di pena relativa all'aumento scaturito dalla circostanza medesima.
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