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La Corte di Giustizia Europea ha depositato il 24 novembre 2011 l’attesa sentenza nel caso Scarlet/Sabam (sezione III, sentenza 24 novembre 2011 C-70/10). Annotazioni a margine
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a cura della redazione
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Sabam è il corrispettivo belga della nostra SIAE, mentre Sabam è uno degli internet service provider che in Belgio fornisce l’accesso alla rete internet. Nel 2004 SABAM, ritenendo che gli utenti dell’ISP Scarlet adoperassero la propria connessione ad Internet per scaricare illegalmente (e senza pagare alcunché) opere protette dal diritto d’autore ricomprese nel “catalogo Sabam”, citava in giudizio il provider belga chiedendo al Tribunale di Bruxelles di ordinare al provider di adottare un sistema di filtraggio al fine di impedire ai suoi utenti di scaricare illegalmente le opere protette dal diritto d’autore. Secondo la richiesta della Sabam il provider Scarlet avrebbe dovuto adottare queste misure di filtraggio a prescindere da un effettivo riscontro, caso per caso, di violazioni delle norme in materia di diritto d’autore da parte dei suoi utenti. Il filtraggio era richiesto, quindi, in via “preventiva” piuttosto che “repressiva”. Questo sistema di filtraggio che Scarlet avrebbe dovuto adottare, secondo le richieste di Sabam, doveva inibire, quindi, ai sistemi P2P degli utenti dell’ISP di inviare o ricevere le opere protette ricomprese nella lista delle opere di Sabam. Per porre in essere questo sistema di iltraggio, però, l’ISP avrebbe dovuto approntare un sistema di analisi dei pacchetti in transito (da e per i suoi utenti) al fine di distinguere i download (o upload) leciti da quelli ritenuti illeciti da Sabam. Il Tribunale di prima istanza di Bruxelles, il 29 giugno 2007, accoglieva le richieste di Sabam e ordinava a Scarlet di porre fine alle violazioni lamentate da Sabam impedendo, così, agli utenti dell’Internet Service Provider di inviare o ricevere file contenenti anche in parte le opere musicali contenute nel catalogo di Sabam. Contro la decisione del Tribunale di prima istanza proponeva appello la Scarlet evidenziando, in primo luogo, che il Tribunale di prima istanza non avesse tenuto conto delle innumerevoli difficoltà di ordine tecnico che l’ISP dovrebbe apprestare per rispettare tale ordine, in secondo luogo si censurava la contraddittorietà della decisione del Tribunale di prima istanza con le norme contenute nella direttiva 2000/31/CE (recepita in Italia con il d.lgs. 70/2003) e, in ultimo, Scarlet lamentava che – anche se si fossero apprestate le soluzioni tecnologiche atte a rispettare l’ordine di filtraggio – si sarebbe comunque violata la normativa europea in materia di protezione dei dati personali e di confidenzialità delle comunicazioni. La Corte d’Appello di Bruxelles rimetteva, quindi, la questione alla Corte di Giustizia Europea con la questione pregiudiziale del 28 gennaio 2010 richiedendo alla Corte di Giustizia di valutare: 1. Se il sistema normativo europeo (e partitamente le direttive 2001/29/CE, 2004/48/CE, 1995/45/CE, 2000/31/CE e 2002/58/CE) consenta agli Stati membri di recepire le norme comunitarie con una formulazione tale da consentire al giudice nazionale di ordinare ai prestatori di servizi della società dell’informazione (i cui servizi vengano utilizzati da terzi per violare le norme sul diritto d’autore) di predisporre – per tutti i suoi utenti, in astratto, a tempo indeterminato e in modo preventivo – misure tecniche atte a filtrare le comunicazioni in entrata ed in uscita e, in particolare, quelle relative all’uso di sistemi di peer to peer e, conseguentemente, una volta individuate le “comunicazioni” illecite bloccarne il trasferimento. (Questione principale) 2. Se il giudice nazionale possa o meno adottare una decisione che imponga al provider di apprestare tale sistema di filtraggio a prescindere da una valutazione relativa al bilanciamento degli interessi tutelati e, in sostanza, del principio di proporzionalità della misura imposta. (Questione subordinata) In modo tutt’altro che sorprendente o eccezionale, la Corte di Giustizia Europea – considerato che tale sistema di monitoraggio preventivo avrebbe richiesto una costante analisi di tutte le comunicazioni elettroniche degli utenti del singolo ISP – ha stabilito che l’ordine imposto all’ISP di apprestare tale sistema di filtraggio dei dati viola il principio stabilito dall’art. 15 della direttiva 2000/31/CE secondo cui il prestatore di servizi della società dell’informazione non ha un generale obbligo di vigilanza sui dati originati ed immessi in rete dai suoi clienti (e a maggior ragione sui dati “in entrata”). In secondo luogo, la Corte di Giustizia, fa rilevare come tale ordine giudiziario imposto agli ISP rappresenterebbe un limite eccessivo alla libertà imprenditoriale posto che costringerebbe l’ISP ad adottare costose misure tecniche di filtraggio (nel caso di specie si dovrebbe adottare un filtraggio tipo deep packet inspection). La Corte di Giustizia ha, altresì, evidenziato – e questo è il punto essenziale e centrale della decisione – che tale imposizione giudiziale agli ISP violerebbe il principio di proporzionalità e di giusto bilanciamento degli interessi in gioco. A questo punto la Corte richiama la sentenza del “caso Promusicae” per ribadire che nel contesto delle misure adottate dalle autorità amministrative e giudiziarie nazionali a protezione degli interessi dei titolari del diritto d’autore occorre valutare anche la giusta protezione dei diritti fondamentali degli individui interessati dall’apprestamento di tali misure di filtraggio (come, ad esempio, il diritto alla riservatezza delle comunicazioni e il diritto alla protezione dei dati personali). In conclusione la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che non si può ingiungere ad un ISP di apprestare il sistema di filtraggio sopra descritto. Tale decisione, per sua natura, imporrà a tutti i giudici dei Paesi aderenti di disapplicare la normativa nazionale nel punto in cui sia in contrasto con tale decisione. A questo punto le osservazioni preliminari (a questo procedimento) contenute nelle conclusioni dell’Avvocato Generale Pedro Cruz Villalòn e depositate il 14 aprile scorso dimostrano tutto il loro interesse. L’Avvocato Generale, infatti, fa rilevare che la questione relativa al rispetto del principio di proporzionalità da parte dei giudici nazionali, “viene sollevata solo in subordine, nella specie per il caso in cui la Corte risolvesse la prima in senso affermativo”.
La sentenza in esame, in sostanza, ha glissato sulla prima questione pregiudiziale sollevata dalla Corte d’Appello di Bruxelles. Sarebbe stato possibile attribuire un peso maggiore rispetto alle questioni da tempo aperte in dottrina e giurisprudenza, qualora la Corte avesse dato, da subito, una risposta negativa alla questione pregiudiziale principale, ossia qualora avesse statuito che “le direttive 2001/29 e 2004/48, lette in combinato disposto con le direttive 95/46, 2000/31 e 2002/58, interpretate, in particolare, alla luce degli artt. 8 e 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, [non]consentano agli Stati membri di autorizzare un giudice nazionale […] ad ordinare ad un Fornitore di Accesso ad Internet (ISP) di predisporre, nei confronti della sua intera clientela, in abstracto e a titolo preventivo, esclusivamente a spese di tale ISP e senza limitazioni nel tempo, un sistema di filtraggio di tutte le comunicazioni elettroniche, sia entranti che uscenti, che transitano per i suoi servizi […] sulla quale il richiedente affermi di vantare diritti, e in seguito di bloccare il trasferimento di questi, al momento della richiesta o in occasione dell’invio”. L’Avvocato Generale fa correttamente notare come “la Commissione considera invece che, se pure le direttive controverse non ostano di per sé stesse all’applicazione di un sistema di filtraggio e di blocco come quello richiesto, tuttavia le sue concrete modalità di attuazione non sono conformi al principio di proporzionalità”. In questo senso emerge che nel caso Sabam/Scarlet il giudice nazionale abbia semplicemente omesso di valutare il principio di proporzionalità mentre “le norme giuridiche nazionali, di per sé, non sono censurabili”.
In conclusione ci troviamo di fronte ad una sentenza certamente interessante e di enorme impatto sulle vicende giudiziarie degli Internet Service Provider ma che, probabilmente, avrebbe potuto vestire i panni di “pietra miliare” qualora dalla Corte di Giustizia fosse giunto un approfondimento maggiore sulla prima questione pregiudiziale sollevata da Scarlet.
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