Coppie miste. Tutele. Figli
a cura della redazione
 
Lo scorso 4 giugno 2010 l’U.E. ha dato il via libera “storico” a 14 stati europei, tra cui l'Italia, per l'adozione di regole più semplici e con più tutele per il divorzio di coppie formate da coniugi di nazionalità diversa.
Si tratta della prima cooperazione rafforzata della storia dell'Ue, una procedura resa possibile dall'entrata in vigore del Trattato di Lisbona che può essere consultato nell’apposta sezione ”Costituzione europea”.
La decisione é stata presa dal Consiglio Ue Giustizia a Lussemburgo.
Sui 122 milioni di matrimoni registrati nell'Ue, ce ne sono circa 16 milioni, pari al 13%, in cui marito e moglie provengono da due paesi diversi, oppure vivono in paesi diversi o ancora abitano in un paese diverso da quello di origine.
I problemi, però, cominciano quando l'amore finisce.
Nel solo 2007 sul milione di divorzi Ue, circa 140.000 (13% del totale) avevano un elemento internazionale.
Quale legge applicare allora, e come tutelare gli interessi del partner più “debole” evitando il “turismo giudiziario”?
Con le nuove norme approvate oggi a Lussemburgo, le coppie potranno scegliere la legislazione nazionale applicabile al loro divorzio, purché sia legata alla nazionalità di uno dei due coniugi o alla residenza effettiva della coppia.
In caso di mancato accordo o di assenza di accordo tra i coniugi, invece, i giudici potranno decidere in base ad una serie di parametri chiari ed uguali per tutti i 14 stati membri dell'Ue che hanno deciso di cooperare tra loro in materia di diritto di famiglia.
Oltre all'Italia, i paesi Ue coinvolti sono Francia, Spagna, Germania, Austria, Lussemburgo, Ungheria, Romania, Bulgaria, Slovenia, Belgio, Lettonia, Malta e Portogallo.
Finlandia e Cipro hanno inoltre manifestato la loro intenzione di inserirsi successivamente nel gruppo.
Quindi, una coppia lituano-svedese residente in Italia potrà chiedere all'autorità giurisdizionale italiana di applicare la legge lituana o svedese oppure quella italiana.
Attualmente, invece, il coniuge che può permettersi di sostenerne le spese può 'correre in tribunale in un altro paese dove la legge tutela i suoi interessi a scapito di quelli dell'ex.
Con le nuove norme che prevedono una casistica precisa, invece, si impedisce il “turismo giudiziario”, garantendo l'applicazione della legge del paese in cui il coniuge si rivolge al giudice o in cui aveva l'ultima residenza con il partner, o ancora del paese in cui entrambi i coniugi provengono.
La legislazione Ue sul divorzio delle coppie “internazionali” era stata proposta dal vicepresidente della Commissione Ue e titolare del portafoglio alla giustizia e cittadinanza Viviane Reding lo scorso 24 marzo. "Migliaia di coppie si trovano in situazioni personali difficili per la mancanza di risposte chiare da parte dei sistemi giuridici nazionali, e in molti casi sono i figli e il coniuge più debole a soffrirne", ha affermato la Reding, per questo "é necessario che i cittadini dispongano di norme chiare".
Nel giro di appena poco più di due mesi, le norme proposte sono state avallate dalla Commissione del Parlamento europeo competente in materia e dal Consiglio Ue a Lussemburgo. L'ultima tappa della procedura, che salvo imprevisti si tratterà piuttosto di una “formalità”, sarà la loro ulteriore approvazione in una delle prossime sedute plenarie dell'Europarlamento a Strasburgo.
Nelle cause di separazione di coppie miste in netta crescita in Italia, si osserva, una conflittualità maggiore rispetto alla coppie ordinarie (ambedue i coniugi di nazionalità italiana) (nel 2005 il numero di cause giudiziali é stato pari a circa il 17 per cento dei casi) rispetto a quella delle separazioni di coniugi entrambi italiani (14,2 per cento).Le coppie miste, inoltre, sono esposte alla separazione più precocemente delle altre. La media temporale dell’unione coniugale alla richiesta di separazione é pari a otto anni nelle coppie miste costituite da un cittadino italiano e da uno straniero, contro i 14 riscontrati nelle separazioni di coniugi entrambi cittadini italiani per nascita.
La percentuale dei divorzi misti (coniugi di diversa nazionalità) e delle separazioni miste si attesta all’80%, con preferenza al divorzio “nostrano”: in breve due coppie interraziali su tre si scindono e il tasso di divorzio è quasi il doppio di quello italiano.
Anche le seconde unioni riscontrano una certa difficoltà: nel 36% dei casi se lo sposo è italiano e la sposa straniera, nel 19% se la sposa è italiana e lo sposo straniero.
Secondo il Rapporto Italia Eurispes 2007, si ha il sospetto che il matrimonio misto sia nient’altro che “una carnevalata multiculturale, con feste in costume, piatti etnici e riti in lingua”, e non una vera e propria sfida.
Una coppia mista riesce rimanere coniugata in media 8 anni a Roma e 7 anni a Milano.
Uno degli aspetti che solitamente motivano un matrimonio misto è l’interesse, da parte dello straniero, a ottenere la cittadinanza. “Ci siamo trovati di fronte a casi di uomini stranieri che sposano un’italiana, ottengono la cittadinanza e poi chiedono il ricongiungimento familiare con l’altra moglie che si trova in Egitto, il riconoscimento di fatto della propria poligamia”.
Nel merito della problematica innanzi affrontata, Souad Sbai, presidente di Acmid (Associazione donne marocchine) e deputata del Pdl afferma che “trascorso il periodo canonico necessario all’acquisizione del passaporto magico, la sposa dell’est scopre di non amare più il proprio partner di vent’anni appena più “anziano” di lei, mentre il coniuge maghrebino sovente rammenta di aver lasciato una pendenza coniugale nel proprio paese …”
É alquanto triste constatare la presenza, nel matrimonio sgretolato, di figli nel frattempo sopragiunti.
L’ISTAT ci ricorda che le complicanze vanno individuate in quel 22 per cento di matrimoni misti che vedono protagonista una donna italiana con uno straniero (il restante 78% riguarda maschi italiani che sposano una straniera) .
Il perché risiede nel fatto che solitamente le donne scelgono come partner stranieri degli africani (nel 24% dei casi marocchini, nel 15% tunisini), nella schiacciante maggioranza dei casi di religione musulmana.
Se i figli rappresentano un notevole problema delle coppie che scoppiano, la cosa diventa di gran lunga piè difficile allorquando siamo in presenza di una coppia mista. E la problematica è ancora più ardua quando lo straniero è anche di fede musulmana.
Nella parte settentrionale dell’Africa e nei paesi a legislazione islamica, infatti, i figli sono la potestà esclusiva del padre (anche in Italia è stato così fino al 1975) e le madri, quando non “negate”, subiscono un notevole ridimensionamento della potestà sulla prole in caso di separazione o divorzio.
Se il marito porta via il figlio, restituirlo alla madre e riportarlo in Italia diventa impresa faraonica.
La globalizzazione e la maggiore facilità di migrazione hanno portato con sé un aumento generalizzato delle coppie miste, formate da genitori di diversa nazionalità, religione, costumi.
Il problema della sottrazione internazionale di minori è all’ordine del giorno ed è di scottante attualità: assistiamo purtroppo al moltiplicarsi di casi in cui i minori si trovano contesi tra genitori di diversa nazionalità, con i conflitti giuridici/pratici che questa cosa comporta, visto che le legislazioni in merito dei diversi paesi possono essere anche molto discordanti.
Questo fenomeno ha allertato anche il Ministero degli Esteri che ha pubblicato di recente un manuale di aiuto e prevenzione al fine di contenere tale confusione ed aiutare genitori e operatori.
A questo punto riteniamo necessario proporre delle considerazioni su una problematica che spesso riempie pagine dei nostri quotidiani maggiormente diffusi.
“Cosa è la sottrazione internazionale di minori?
Con l’espressione “sottrazione internazionale di minori” si indica la situazione in cui un minore:
- viene illecitamente condotto all’estero ad opera di uno dei genitori che non esercita l’esclusiva potestà, senza alcuna autorizzazione;
- non viene ricondotto nel Paese di residenza abituale a seguito di un soggiorno all’estero.”
Di solito accade quando, temendo di non ottenere la custodia esclusiva nello Stato di residenza, uno dei due genitori sottrae il figlio e lo conduce nel proprio paese d’origine o altrove, sradicandolo così dal suo contesto sociale, scolastico e geografico, sacrificando il diritto di visita e la frequentazione dell’altro genitore.
Non solo la sottrazione di minore è negativa di per sé ma priva il minore di una delle figure genitoriale, cosa altamente destabilizzante per il minore, ma comporta altresì il trauma per il completo distacco dal contesto nel quale era inserito e che rappresentava non solo la sua “residenza abituale” ma il suo unico luogo di vita.
Purtroppo non esistendo un’armonizzazione internazionale delle normative al riguardo, possono crearsi situazioni giudiziarie contrapposte: il minore è affidato nei rispettivi Paesi contemporaneamente ad entrambi i genitori.
Nel 2005 veniva siglato un Regolamento Internazionale Europeo mirante a superare queste contrapposizioni, ma esso è valido solo tra i Paesi Europei firmatari (tranne quindi la Danimarca). Il Regolamento prende nome Bruxelles II bis e istituisce uno spazio comune europeo in materia di diritto di famiglia, riconoscendo altresì la validità delle sentenze di affidamento dei minori in tutti gli Stati dell’Unione. Ciò al fine di uniformare la legislazione ed evitare il più possibile casi di contrasto giurisprudenziale che, oltre ad aumentare la conflittualità genitoriale, minacciano il sereno sviluppo della psicologia del bambino.
Esistono diversi strumenti giuridici a livello internazionale – purtroppo non ratificati da tutti gli Stati – che permettono al genitore “vittima” della sottrazione di trovare (o quantomeno tentare) una soluzione all’illecito trasferimento del figlio:
1. Convenzione Europea di Lussemburgo del 20.05.1980 sul riconoscimento ed attuazione delle decisioni in materia di affidamento di minori e sulla rivalutazione dell’affidamento. Si fonda sull’ esistenza di un provvedimento di affidamento del minore nello Stato in cui esso abitualmente risiede al momento della sottrazione ed è applicabile quindi solo a queste condizioni.
2. Convenzione dell’Aja del 25.10.1980 alla quale aderiscono circa ottanta Paesi.
Tale Convenzione consente il rientro del minore nello stato di residenza abituale. La Convenzione è l’unico strumento giuridico valido cui si ricorre con Paesi non appartenenti alla Unione Europea; purtroppo, non offre garanzie adeguate per il rimpatrio dei minori in ragione della tendenza delle magistrature degli Stati Parte a far prevalere i diritti del cittadino rispetto alla richiesta di rimpatrio del genitore straniero.
3. Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo adottata a New York dall’Assemblea Generale del 20.11.1989. La Convenzione delle Nazioni Unite è l’insieme di norme internazionali più completo in materia di promozione e di tutela dei diritti dell’infanzia. Tra essi merita attenzione quello del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari (art.8), ad intrattenere rapporti personali e diretti con entrambi i genitori (art. 9 e 10). Stabilisce il principio secondo il quale l’interesse superiore del bambino deve essere la considerazione preminente in tutte le decisioni che lo riguardano. La Convenzione obbliga gli Stati ad attuare tutti i provvedimenti necessari per assistere i genitori e le istituzioni nell’adempimento dei loro doveri nei confronti dei minori, stabiliti dalla Convenzione stessa.
4. Convenzione europea di Strasburgo del 25.01.1996 sull’esercizio dei diritti del fanciullo. La Convenzione agevola alcuni diritti del bambino tramite il riconoscimento di diritti processuali che al minore si riferiscono.
5. Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio dell’Unione Europea del 27/11/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il Regolamento (CE) n.1347/2000 (è valido per i Paesi dell’Unione Europea ad eccezione della Danimarca, che non lo ha sottoscritto).
In materia di sottrazione di minori il Regolamento stabilisce l’esecutività automatica delle decisioni emesse dal giudice del Paese di residenza abituale del minore, cui è stata presentata la domanda per il ritorno del minore.
Il provvedimento di rimpatrio del bambino va emanato entro sei settimane dalla presentazione della domanda.
Non necessita di dichiarazione di esecutività la decisione dell’ Autorità di uno stato membro in merito al diritto di visita al minore né è possibile opporsi al riconoscimento dello stesso diritto risultante da un certificato standard.
Il Regolamento (CE) n. 2201/2003 ha inglobato l’iter previsto dalla Convenzione dell’Aja.
In particolare:
1- tra i Paesi membri dell’Unione, viene ritenuto competente il giudice del paese ove il minore risiedeva prima di essere sottratto;
2. è stato creato il titolo esecutivo europeo in materia di diritto di visita e di ritorno del minore.
Il Regolamento dell’Unione Europea chiamato anche Bruxelles II bis vincola un gran numero di paesi sparsi in tutto il mondo: Argentina, Australia, Austria, Bahamas, Belarus, Belgio, Belize, Bosnia Erzegovina, Brasile, Burkina Faso, Bulgaria, Canada, Cile, Cina (solo per le regioni autonome di Hong Kong e Macao), Cipro, Colombia, Costa Rica, Croazia, Danimarca, Ecuador, El Salvador, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Georgia, Guatemala, Honduras, Irlanda, Islanda, Israele, Lituania, Lettonia, Lussemburgo, Macedonia, Malta, Mauritius, Messico, Nicaragua, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Panama, Paraguay, Perù, Polonia, Portogallo, Principato di Monaco, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica Dominicana, Repubblica di Moldova, Repubblica di San Marino, Romania, Saint Kitts e Nevis, Serbia e Montenegro, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Sud Africa, Svezia, Svizzera, Sri Lanka, Thailandia, Trinidad e Tobago, Turchia, Turkmenistan, Ucraina, Ungheria, Uruguay, Uzbekistan, Venezuela, Zimbabwe.
L’applicazione della Convenzione dell’Aja e/o del Regolamento, anche se tempestiva non sempre porta al rientro immediato del minore.
Come abbiamo già detto, la casistica delle sottrazioni evidenzia il crearsi, nel tempo, di situazioni giudiziarie contrapposte: il minore è affidato in Italia ad un genitore e nel Paese straniero all’altro.
Particolare importanza rivestono in questo senso i consigli che il Ministero degli Esteri elargisce in caso di sottrazione di minore:
1. sporgere tempestivamente denuncia presso gli organi di polizia;
2. avvertire il Ministero degli Esteri e la Direzione Generale per gli Italiani all’Estero affinché vengano attivate le competenti Rappresentanze diplomatico-consolari;
3. rivolgersi all’Autorità Centrale se il Paese di presunta destinazione aderisce alla Convenzione dell’Aja del 25.10.1980 o è destinatario del Regolamento (CE) n. 2201/2003;
4. far valere il diritto di visita qualora non si disponga di un provvedimento che affidi la custodia del minore.”
Il Ministero, rivolgendosi ai genitori di coppie miste, cerca inoltre di prevenire il verificarsi di sottrazioni di minori all’estero con alcune avvertenze:
1. informarsi sulle disposizioni in materia di affidamento e diritto di visita vigenti nello Stato di appartenenza dell’altro genitore;
2. far riconoscere, ove possibile, nello Stato di appartenenza dell’altro genitore, l’eventuale provvedimento di affidamento del minore in proprio favore;
3. cercare di evitare che il minore sia iscritto sul passaporto del genitore non affidatario;
4. se per un qualche motivo il minore deve recarsi all’estero, far sottoscrivere dall’altro genitore un impegno di rientro in Italia alla data stabilita;
5. se è già in corso la procedura per la separazione legale, chiedere al Giudice competente che nel provvedimento venga chiaramente indicato il divieto di espatrio del miniore, senza il consenso dell’altro;
6. verificare che il divieto di espatrio risulti registrato nelle liste di frontiera;
7. se non è stato avviato alcun procedimento per l’affidamento del minore, chiedere l’emissione di uno specifico provvedimento che vieti l’espatrio del minore senza il consenso esplicito dell’altro;
8. vigilare, in occasione dell’esercizio del diritto di visita riconosciuto al genitore non affidatario, affinché lo stesso non trattenga con sé il minore illecitamente oltre il periodo stabilito.”
L’auspicio e il consiglio per mitigare questi conflitti che il Ministero si sente di dare è sempre e comunque cercare d’ incentrare ogni azione nell’interesse ed il benessere del minore, vittima innocente di questo sopruso.
Riteniamo opportuno ricordare che il 22 luglio 2010 è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'UE la decisione del Consiglio di autorizzare il Belgio, la Bulgaria, la Germania, la Spagna, la Francia, l'Italia, la Lettonia, il Lussemburgo, l'Ungheria, Malta, l'Austria, il Portogallo, la Romania e la Slovenia a instaurare tra loro una cooperazione rafforzata nel settore del diritto applicabile in materia di divorzio e di separazione legale.
Questi Paesi dovranno ora votare la proposta della Commissione relativa a un regolamento che contiene norme dettagliate applicabili ai divorzi internazionali.
Il regolamento dovrà essere approvato all'unanimità dai 14 paesi partecipanti, e potrà entrare in vigore soltanto dopo che questi ultimi avranno consultato il Parlamento europeo.
Le coppie internazionali potranno scegliere di comune accordo la legge applicabile al divorzio e alla separazione personale.
In mancanza di accordo delle parti, le autorità giurisdizionali disporranno di una formula comune per determinare la legge nazionale applicabile. Alle coppie sarà garantita maggiore certezza giuridica, prevedibilità e flessibilità mentre i coniugi e i figli saranno al riparo da procedimenti complicati, lunghi e dolorosi.
Di seguito ricordiamo in particolare per lo specifico peso nella materia in trattazione:
1. la sentenza della Corte di Giustizia europea n. 211/10 nella causa C-8209.
Sulla premessa che è diritto fondamentale del bambino, sancito dall’art. 24, n. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU C 364, pag. 1), intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, la Corte ha dichiarato che un provvedimento provvisorio non configura una «decisione di affidamento che non prevede il ritorno del minore» ai sensi di tale disposizione e non può costituire il fondamento di un trasferimento di competenza ai giudici dello Stato membro verso il quale il minore è stato illecitamente trasferito.
2.la sentenza della Corte di Giustizia europea n. 256/09 nella causa C-8209.
La Corte con tale sentenza ha stabilito che le disposizioni di cui agli artt. 21 e segg. del regolamento (CE) del Consiglio 27 novembre 2003, n. 2201, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il Regolamento (CE) n. 1347/2000, non si applicano ai provvedimenti provvisori, in materia di diritto di affidamento, rientranti nell’art. 20 di detto Regolamento.
3. ribadiamo infine che il 4 agosto è entrata in vigore una direttiva (2010/41/UE) approvata dal Parlamento europeo che riconosce anche ai lavoratori autonomi e ai loro conviventi i benefici di una migliore protezione sociale, comprendente per la prima volta il diritto al congedo di maternità. La direttiva migliora notevolmente la protezione delle lavoratrici autonome e delle coniugi o conviventi che partecipano alle attività dei lavoratori autonomi, in particolare in caso di maternità, permettendo a chi lo desidera di ottenere un'indennità e un congedo di maternità di almeno 14 settimane;
4. ma chi decide sulla coppia mista che ha vissuto all'estero?
Il marito, di nazionalità francese, sostiene che la famiglia aveva vissuto in Francia; ma gli avvocati della moglie, cittadina italiana, documenti alla mano, dimostrano che la coppia, pur vivendo in maniera sporadica oltralpe, non vi aveva mai preso la residenza. Tale circostanza è valsa a radicare la giurisdizione del giudice italiano sulla domanda di separazione presentata dalla moglie. Così hanno stabilito con la sentenza che segue i giudici della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 15328 del 25 giugno 2010, i quali hanno infatti affermato la competenza in materia del giudice dello stato membro di cui l'attore sia cittadino e nel quale abbia la residenza abituale almeno per sei mesi immediatamente prima della proposizione della domanda.
Riportiamo di seguito il testo della sentenza.
“”Svolgimento del processo
- che con ricorso del 25 settembre 2009 C.D. ha chiesto al tribunale di Verbania la separazione personale dal marito T.A.M., con il quale ha contratto matrimonio il **** e dal quale ha avuto una figlia, di nome A.L., nata a ****;
- che, costituendosi in giudizio, il marito, tra l'altro, ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice italiano, ai sensi dell'art. 3 del regolamento CE n. 2201/2003, in quanto i coniugi avrebbero avuto la loro residenza abituale in Francia fino al ****, mentre la C. avrebbe stabilito da tale data la residenza abituale in Italia, per un periodo inferiore ai sei mesi anteriori alla proposizione del ricorso per separazione (****);
- che il T. ha chiesto, con regolamento di giurisdizione, che sia dichiarata la giurisdizione del giudice francese sulla domanda della C., indicando a sostegno della propria affermazione secondo la quale i coniugi avrebbero avuto la residenza abituale in Francia fino al ****;
a) la numerosa posta ricevuta dalla moglie presso la casa coniugale di ****;
b) Le certificazioni mediche di un pediatra di **** che avrebbe seguito la figlia minore;
c) il verbale di accesso di un ufficiale giudiziario francese presso la casa coniugale, in data ****, dal quale risulterebbe la permanenza di effetti personali di uso quotidiano della moglie e della figlia;
d) l'attività lavorativa svolta dalla C. in Francia;
che la C., con controricorso, ha contestato le del marito sostenendo che i coniugi non avrebbero mai avuto una residenza abituale comune in Francia, ma - che, anche dopo il matrimonio, ciascuno avrebbe conservato la propria residenza abituale, rispettivamente, in Italia e in Francia, come sarebbe dimostrato dalle seguenti circostanze:
a) la moglie è insegnate di ruolo presso il liceo scientifico statale **** - dal ****;
b) nella partecipazione di nozze, successiva alla celebrazione del matrimonio, sono indicate le due residenze francese e italiane, dei coniugi;
c) numerosa corrispondenza è stata indirizzata ai coniugi presso la residenza di ****;
d) la gravidanza è stata seguita in Italia da medici italiani essendo la C. iscritta da sempre al servizio sanitario nazionale;
e) il marito si è recato insieme alla moglie da un legale italiano nel **** per discutere di un'ipotesi di separazione consensuale;
f) nel rendere la dichiarazione congiunta di nascita presso l'ospedale di **** i genitori hanno indicato le residenze separate;
- che il procuratore generale ha concluso per la della giurisdizione italiana per avere la C. sempre mantenuta in Italia la propria residenza abituale (residenza anagrafica in Italia, rapporto di impiego di ruolo dal **** e di collaborazione con l'Università di ****, domanda di assegni familiari per la figlia; assistenza della minore da parte di pediatra italiano dal ****).
Motivi della decisione
- che ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. a), del regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia - matrimoniale e in materia di responabilità genitoriale, competente a decidere sulle questioni inerenti la separazione dei coniugi è (anche) il giudice dello stato membro di cui l'attore sia cittadino e in cui abbia la residenza abituale almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda;
- che, come è stato già affermato (Cass., n. 3680/2010), la nazione di residenza abituale, di cui al regolamento citato fa riferimento non alla residenza formale o anagrafica ma al luogo del concreto e continuativo svolgimento dalla vita personale ed eventualmente lavorativa;
- che al momento della proposizione dalla domanda da parte della signora C.D. la stessa era abitualmente residente in Italia da un periodo superiore ai sei mesi come risulta dalle seguenti circostanze:
a) la signora C. è docente di ruolo presso il liceo scientifico statale **** dal **** e ivi ha prestato servizio salvo i periodi di astensione obbligatoria e congedo parentale in occasione della nascita della figlia;
b) la stessa è stata seguita durante la gravidanza da un ostetrico di ****;
c) nella partecipazione di nozze, successiva alla celebrazione del matrimonio, risultano indicate le due residenze dei coniugi in Francia e in Italia;
d) numerosa corrispondenza, dal **** è stata indirizzata ai coniugi o alla signora C. presso la sua abitazione di ****;
e) il marito si è recato insieme alla moglie da un legale italiano nel **** per discutere di un'ipotesi di separazione consensuale;
f) dall'atto di nascita della figlia risulta che nel rendere la dichiarazione congiunta di nascita presso l'ospedale di **** i genitori hanno indicato le proprie residenze separate in Francia e in Italia;
g) la figlia minore, che, come è pacifico è sempre vissuta con la madre, è stata seguita da parte di pediatra italiano dal ****);
- che la circostanza che la signora C. non abbia mai smesso di avere la propria residenza abituale in Italia non è contraddetta dal fatto che saltuariamente, e anche per un periodo continuativo durante il congedo parentale abbia trascorso periodi in Francia presso la residenza del marito, ivi ricevendo anche corrispondenza, e in Francia abbia svolto attività di studio;
- che, pertanto, la giurisdizione sulla causa di separazione appartiene al giudice italiano;
- che le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La corte dichiara la giurisdizione del giudice italiano e condanna il ricorrente al pagamento delle spese con Euro 3.200,00 (di cui 3.200,00 per esborsi), oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.”””.